Cassazione pen., n. 24670/2012
Con sentenza, deliberata il 3 novembre 2011 e depositata il 14 dicembre 2011, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di quella stessa sede, 24 maggio 2010, di condanna alla pena dell’arresto in tre mesi (condizionalmente sospesa) a carico di X Y, imputato della contravvenzione di molestia o disturbo alle persone, ai sensi dell’articolo 660 del Codice Penale, commessa in danno di persona minore di sesso femminile, mediante invio “al suo indirizzo di posta elettronica” di “una pluralità di messaggi e immagini a contenuto osceno”, in AAA fino al giugno 2007.
La Corte territoriale, previa accurata e pregevole illustrazione della giurisprudenza di legittimità in tema di molestie perpetrate con mezzi di comunicazione diversi dal telefono, ha disatteso la tesi difensiva circa la censurata applicazione in via analogica della norma incriminatrice, argomentando: nel caso in esame la comunicazione tra “l’account della minore e l’imputato è avvenuta attraverso MSN”; si tratta di un sistema “noto come instant messaging”, ovverosia di “messaggeria istantanea [...] che permette, cioè, l’invio di messaggi immediati tra due persone”, di un sistema di comunicazione “sostitutivo del telefono,il quale permette di conversare in modo istantaneo, usando la tastiera e, nelle più recenti versioni, anche utilizzando microfoni e web cam, per parlare e vedersi a distanza, sempre in tempo reale”; pertanto ricorre “l’elemento circostanziale della condotta” di comunicazione del soggetto attivo, “tipizzato dalla norma incriminatrice” e consistito nella “utilizzazione di un mezzo di comunicazione [...] del tutto simile al telefono come mezzo del reato [..] proprio per il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi se non disattivando la connessione con conseguente lesione, in tale evenienza, della propria libertà di comunicazione, costituzionalmente garantita”; sicché è corretta la interpretazione in via estensiva della norma incriminatrice operata dal primo giudice.
2. – Ricorre per cassazione l’imputato, col ministero del difensore di fiducia, avvocato BBB, mediante atto del s.d., depositato il 9 marzo 2012 col quale sviluppa due motivi.
2.1 – Con il primo motivo il ricorrente dichiara promiscuamente di denunciare, a’ sensi dell’articolo 606, comma l, lettere b) ed e), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione all’articolo 660 cod. pen. nonché vizio della motivazione, deducendo:
la norma incriminatrice tutela il soggetto passivo “dall’invasione non temperabile dell’azione aggressiva dell’ agente”;
non è assimilabile la comunicazione telefonica a quella “telematica della posta elettronica”; la Corte territoriale non si è uniformata al principio di diritto, stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale non è consentito “inferire nell’accezione della lettera del mezzo telefonico lo strumento telematico per la trasmissione di posta elettronica”.
2.2 – Con il secondo motivo il ricorrente dichiara promiscuamente di denunciare, a’ sensi dell’articolo 606, comma l, lettere c) ed e) cod. proc. pen., inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, in relazione all’articolo 125 cod. proc. pen., nonché manifesta illogicità della motivazione, deducendo:
allo scopo di differenziare il caso in esame dalla “materia della trasmissione telematica della posta elettronica” i giudici di merito hanno artificiosamente operato la “creazione di una fattispecie concreta travisata rispetto alla condotta specificata tassativamente nella contestazione del capo di imputazione” e accertata “nella prima sentenza”; hanno, invero, fatto riferimento a “un sistema tecnologico differente rispetto a quello [indicato] in contestazione ed emergente dalle risultanze”; inoltre hanno trascurato di considerare che nella specie “ogni e qualunque trasmissione di comunicazione ha presupposto, per la conoscibilità del contenuto, il consapevole contributo operativo dell’ interlocutore”.
3. – Il ricorso è, nei termini che seguono, fondato.
3.1 – Il tema oggetto del presente scrutinio di legittimità è se il modello di condotta, tipizzato nella norma incriminatrice, con riferimento al mezzo del reato, della comunicazione telefonica (recita l’articolo 660 cod. pen.: “col mezzo del telefono”), ricomprenda, in via di interpretazione estensiva, le comunicazioni telematiche non foniche effettuate mediante elaboratore elettronico attraverso la rete internet.
3.2 – Il progresso tecnologico realizzato sia nella telefonia (inizialmente circoscritta alle comunicazioni tra postazioni fisse, ora ampiamente integrata dalla radiotelefonia tra apparecchi mobili connessi attraverso il sistema cellulare), sia nella elettronica, caratterizzato dalla miniaturizzazione degli elaboratori, e, soprattutto, la integrazione delle due tecnologie, estrinsecatasi nella produzione di apparecchi telefonici mobili, con implementazioni delle funzioni peculiari dell’elaboratore elettronico, e di elaboratori di ridottissime dimensioni, agevolmente portabili, connessi alla rete telefonica e telematica e
anche idonei a comunicare, attenuano, indubbiamente, le differenze – prima nettissime – tra la comunicazione telefonica e le altre forme di comunicazione telematica.
Pur tuttavia la tipizzazione del mezzo del reato, contenuta nella norma incriminatrice dell’articolo 660 cod. pen., impone la individuazione del discrimen della comunicazione (molesta), riconducibile al mezzo del telefono, rispetto alle altre varie forme di telecomunicazione, le quali – pel divieto di applicazione analogica della norme penali a’ sensi dell’articolo 14 preleggi- non consentono, invece, di ritenere integrata la contravvenzione.
In proposito, la giurisprudenza di questa Corte è pervenuta alla conclusione:
a) della inclusione, in via di interpretazione estensiva, tra i mezzi di commissione della contravvenzione in parola dello SMS (Short Message Service) ovvero delle comunicazioni di messaggi di testo telefonici (Sez. III, 26 marzo 2004, n. 28680, Modena, massima n. 229464; Sez. I, 22 febbraio 2011, n. 10983, Posti, massima n. 249879 e Sez. I, 24 giugno 2011, n. 30294, Donato, massima n. 250912);
b) della esclusione della posta elettronica dal novero delle comunicazioni riconducibili alla previsione dell’articolo 660 cod. pen. (Sez. I, 17 giugno 2010, n. 24510, D’Alessandro, massima n. 247558).
Tali approdi ermeneutici sono pacifici e fatti propri sia dalla Corte territoriale e che dal ricorrente.
3.3 – I giudici di merito hanno, piuttosto, sussunto la condotta del ricorrente sotto la previsione della norma incriminatrice supponendo, in punto di fatto, che le comunicazioni moleste e oscene sarebbero state effettuate mediante il (noto) servizio di messaggeria telematica MSN e, quindi, argomentando, in punto di diritto, che i messaggi MSN sono da ricomprendersi in quelli effettuati col mezzo del telefono “per il carattere invasivo della comunicazione”.
3.4 – La supposizione fattuale (impugnata col secondo motivo di ricorso) non è, innanzi tutto, in contrasto colla contestazione. La condotta descritta nel capo di imputazione reca la generica menzione dell’invio di “una pluralità di messaggi e immagini a contenuto osceno” all’ “indirizzo di posta elettronica” della persona offesa, senza specificare se i suddetti messaggi furono immessi nella casella della posta elettronica della destinataria, ovvero inviati nel corso di una sessione di messaggeria instaurata col medesimo indirizzo.
E dalla sentenza di primo grado sembra, peraltro, evincersi che il Tribunale accertò che le foto oscene – quanto meno quelle inviate 1’8 giugno 2007 (2009 nel testo della sentenza per evidente lapsus calami), stante il riferimento agli “inviti alla conversaziozione”, v. p. 2 – furono inoltrate tramite M S N, cioè colla messaggistica elettronica.
L’accertamento non è, tuttavia, risolutivo.
3.5 – L’uso della messaggistica elettronica non costituisce invero comunicazione telefonica, né è assimilabile alla stessa.
Tale sistema di comunicazione, sebbene utilizzi la rete telefonica e le bande di frequenza della rete cellulare, non costituisce, tuttavia, applicazione della telefonia che consiste, invece, nella teletrasmissione, in modalità sincrona, di voci
o di suoni; e si caratterizza sul piano della interazione tra il mittente e il destinatario – in relazione al profilo saliente dell’oggetto giuridico della norma incriminatrice – per la incontrollata possibilità di intrusione, immediata e diretta, del primo nella sfera delle attività del secondo.
Significativamente la Corte territoriale ha argomentato con riferimento al “carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi”, se non a prezzo di disattivare la propria utenza (telefonica), con conseguente nocumento della libertà di comunicazione.
Ma siffatto rilievo non è pertinente al caso di specie delle comunicazioni (moleste) effettuate dal ricorrente mediante la messaggeria telematica (MS N).
Hanno, infatti, accertato i giudici di merito che l’invio dei messaggi e delle foto oscene da parte dell’imputato fu reso possibile solo grazie alla abilitazione allo scambio degli MSN, concessa dalla madre della persona offesa (sostituitasi alla figlia), in seguito alla “richiesta di contatto su MSN Messenger” inoltrata dal ricorrente (v. la sentenza di primo grado, p. 2); e che, non appena la vittima, inserì l’identificativo telematico del giudicabile “nella black list” dei mittenti indesiderati, pose immediatamente termine ad ogni contatto e invio da parte del prevenuto (v. ibidem p. 3).
A differenza della comunicazione fatta col mezzo del telefono, la messaggeria telematica non presenta, pertanto, il “carattere invasivo”, erroneamente supposto dalla Corte territoriale, ben potendo il destinatario di messaggi non desiderati da un determinato utente (sgradito), evitarne agevolmente la ricezione, senza compromettere, in alcun modo, la propria libertà di comunicazione, neppure in relazione all’impiego della particolare tecnologia in parola.
S.6 – Conclusivamente, escluso l’elemento della fattispecie penale del mezzo (tipizzato) del reato (in quanto, appunto, il messaggio telematico non è assimilabile alla comunicazione col
mezzo del telefono), la contravvenzione non è configurabile.
Infatti, l’evento immateriale – o psichico – del turbamento del soggetto passivo costituisce condizione necessaria m a non sufficiente della previsione di cui all’articolo 660 cod. pen.
per integrare la contravvenzione prevista e punita dall’articolo 660 Codice Penale, devono, invero, concorrere (alternativamente) gli ulteriori elementi circostanziali della condotta del soggetto attivo, contemplati dalla norma incriminatrice: la pubblicità (o l’apertura al pubblico) del teatro dell’azione ovvero l’utilizzazione del telefono come mezzo del reato.
E il mezzo telefonico assume rilievo – ai fini dell’ampliamento della tutela penale altrimenti limitata alle molestie arrecate in luogo pubblico o aperto al pubblico – proprio per il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi, se non disattivando l’apparecchio telefonico, con conseguente lesione, in tale evenienza, della propria libertà di comunicazione, costituzionalmente garantita (articolo 15, comma 1, Costituzione).
E giova, in proposito, ricordare, infine, che questa Corte, nel fissare il principio di diritto della inclusione nella previsione della norma incriminatrice dei messaggi di testo telefonici (Sez. III, 26 giugno 2004, n. 28680, Modena, massima n. 229464:“La disposizione di cui all’articolo 660 Codice Penale punisce la molestia commessa col mezzo del telefono, e quindi anche la molestia posta in essere attraverso l’invio di short messages system SMS - trasmessi attraverso sistemi telefonici mobili o fusi”),ha, per l’appunto, argomentato che “il destinatario di [detti SMS] è costretto, sia de auditu che de visu, a percepirli, con corrispondente turbamento della quiete e tranquillità psichica, prima di poterne individuare il mittente, il quale in tal modo realizza l’obiettivo di recare disturbo al destinatario”.
3.7 – Consegue l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato